Il webete e le mie riflessioni sul termine coniato da Mentana
In questo periodo mi sento un pochino afflitta relativamente a ciò che vedo in TV e sul web, e dopo aver scritto le mie “Riflessioni sparse sul giornalismo in Italia“, oggi voglio raccontarvi le mie riflessioni sul cosiddetto webete.
Il webete secondo Mentana
Questo screenshot è relativo alla risposta data da Enrico Mentana ad un utente che, come molti altri, ha iniziato a sparare a zero sugli immigrati rifugiati negli hotel in riferimento alla vicenda del terremoto in Centro Italia avvenuto lo scorso 24 agosto.
Il problema è che il webete, sui social network, è una figura molto presente da qualche anno a questa parte e Mentana è stato bravo a fornire una definizione per questi strani personaggi che popolano la rete.
Il webete è colui che DEVE avere un’opinione su tutto nonostante alla base sia disinformato e si ritrova in questa situazione perché quando posta una riflessione o un commento, non cerca fonti di informazione neutre, ma bensì si basa su quello che sente dire da altri webeti.
È un gatto che si morde la coda in continuazione, accrescendo la popolazione di webeti e non quella dei veri opinionisti.
Nel non troppo lontano giugno 2015, Umberto Eco fece un intevento all’Università di Torino, asserendo che:
I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività.
Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.
È l’invasione degli imbecilli.
Sono parole molto forti, che a suo tempo, avevano spalancato le porte ad una polemica di dimensioni cosmiche.
Il problema è che il web sta diventando questo: ci sono molti professionisti che tentano di emergere grazie a questo prezioso strumento, ma allo stesso tempo ci sono tante persone che sfruttano questo mezzo per sfogare rabbia e frustrazione indignandosi su tutto e tutti.
Non è obbligatorio dire la propria anche quando non è richiesto: non è obbligatorio esprimersi su qualunque cosa accada al mondo.
Non è importante essere o non essere Charlie, non è importante esprimere costantemente del malumore qualunquista sui social network.
Ho nominato Charlie perché le maggiori polemiche questa settimana le ho riscontrate sulla vignetta da loro pubblicata.
Non è affatto una bella vignetta, e fin qui credo di trovarvi tutti d’accordo.
I vignettisti hanno utilizzato una tragedia (che non si poteva controllare) per mettere in piazza quello che gli stessi webeti lamentano: in Italia abbiamo il vizio di far lavorare il cugino, del fratello, dello zio, del nonno e questo sistema prevede che le costruzioni vengano fatte in cartapesta.
Questa settimana ho letto ogni sorta di insulto a Hebdo e ai francesi in generale, dalle stesse persone che durante le stragi del Bataclan e di Nizza, avevano la bandiera francese come immagine profilo e che pubblicavano stati di dolore hashtaggati #PrayForParis e #PrayForNice.
Le stesse persone che difendevano il diritto di parola e la libertà di espressione, oggi non la difendono più e non se la prendono solo con i vignettisti del giornale satirico, ma bensì con tutti i francesi (perché è bello generalizzare).
Siete degli idioti senza bidet.
Francesi di merda, ve le siete meritate le stragi e ve ne meritate altre 100.
Isis ritorna a Parigi, fallo per noi.
Io di questi stati Facebook ne ho letti un sacco negli ultimi giorni e, a mio parere, è la massima espressione del povero webete.
Mi sento davvero demoralizzata nel vedere questa decadenza e vorrei solo strappare la tastiera di mano a queste persone.
Se sei arrivato a leggere fino a qui, ti ringrazio per aver seguito il mio caos di riflessioni sul webete.
La tua opinione è importante, fammi sapere che ne pensi qui nei commenti o sulla mia pagina Facebook.
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